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Commenti al testo di Ivan Pozzoni
sino chi lgge!

Sei nella sezione Commenti
 

 Ivan Pozzoni - 14/05/2024 04:58:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,

Tu scrivi: <Mi convince, lo so bene. Su Worldcat.org sono citate tutte le biblioteche straniere e di riguardo. Ti sembrerà "mostruoso" ma qualcosa di mio è pure lì. Non certo di poesia ma di storia>.

No, non è mostruoso. Mi rende contento conoscere una nuova collega: le Università straniere (Worldcat è l’OPAC straniero) conservano miei volumi di storiografia filosofica, storiografia letteraria, epistemologia e storia delle scienze, estetica, sociologia dell’arte, etica, sociologia, Law and Literature, critica letteraria e filosofia/teoria del diritto. Così come Academia Edu, comunità internazionale dei ricercatori e studiosi è vero sito di memoria storica; Wikipedia è una bruttissima operazione finanziaria anglosassone.
Però - come Livia, a meno che tu non sia Livia Drusilla- non ti troverò mai, e non riuscirò mai a comprendere i tuoi interessi storiografici. Disvelati: a-letheia.

Tu scrivi: <in un sistema politico e di decadenza dei valori credo di essere diventata anarchica. Questa società mi va stretta, vorrei vivere in un mondo diverso, perciò amo l’isolamento>.

Già siamo in due. Ma ti vedo come anarchica malatestiana o bakuniniana, con forti interessi socialisti. Io, rotto con la federazione anarchica milanese, mi definisco anarchico stirneriano e non rispondo a federazioni di sorta.

Ti vorrei raccontare un aneddoto, in modo da andare a letto ancora una volta alle 06.00 e, alla lunga, rischiare l’infarto. Stasera ero in un ristorante con un amico. Gli spiegavo, con accaloramento tutto militante e un vocione da baritono, la differenza sociologica tra <dilettanti>, <mestieranti> e <militanti> dell’arte. Improvvisamente si avvicina al nostro tavolo una coppia e l’uomo mi chiede: <Sei tu Ivan Pozzoni?>. Io, individuo estremamente schivo e molto attento (dopo una serie di istruttorie contro ’ndrangheta, bande albanesi e rumene e io non ero consulente a favore di queste organizzazioni), rispondo: <Io mi chiamo Ivan Pozzoni (non <io sono Ivan Pozzoni>). La ragazza sorride e l’uomo mi dice: <La ringraziamo moltissimo dei suoi versi contenuti nella sua opera La malattia invettiva, del 2018. Io e la mia ragazza abbiamo letto, centinaio di volte, i suoi versi, abbracciati sul divano. Ha scritto altri volumi?>. Io - un tantino scocciato dal continuo uso del lei che mi faceva sentire un settantenne-: <Ho scritto 150 volumi, di varie branche: arte, storiografia filosofica, storiografia letteraria, epistemologia e storia delle scienze, sociologia dell’arte, etica, teologia, estetica, sociologia, Law and Literature, filosofia/teoria del diritto. Però - sinceramente- ciò che vi interessa è la mia <anti-poesia>. Sfortunatamente, ho deciso di far stampare dalle mie case editrici, University Press o case editrici socialiste autogestite un’unica edizione dei miei volumi e, alla vendita delle 5.000 copie, ho sempre rifiutato la ristampa richiesta insistentemente dall’editore in quanto immediatamente immerso in un nuovo lavoro con altra casa editrice. Le copie nei magazzini sono finite, troverete qualche copia su Amazon, i volumi sono tutti fuori catalogo (alcuni hanno vent’anni, tranne le monografie>. Lui: <A noi interesserebbe anche la filofia>. io: <Ho un’idea. Siete di xxxxx? Recatevi alla biblioteca comunale di xxxxx e lì troverete una copia di ogni mio volume, se non abbiate voglia di recarvi nelle biblioteche universitarie in Statale o Cattolica a Milano>. <La ringraziamo, io e la mia fidanzata della sua fortissima ironia contro i ricchi e le autorità, e la sua sensibilità verso i deboli e i diseredati del mondo>. Io, che mi imbarazzo facilmente, e divento immediatamente molto ironico rispondo: <Però avresti preferito di trovare al posto mio la Hunziker (io, in vece di incontrare Pontiggia, sceglierei certamente la Hunziker)>. Lui, con un sorriso: <Se avessi incontrato la Hunziker, le avrei chiesto di sedermi al suo tavolo>. Io: <Sedetevi>. Si sono seduti, abbiamo mangiato qualcosa, ho tenuto lezione d’arte e alla fine mi sono sentito dire: <Pozzoni, ci mette l’autografo sul tovagliolo?>. L’autografo? Con la coda dell’occhio, vedo il mio amico illuminarsi. La mia risposta: <Perfetto. Io vi faccio il mio autografo e voi due mi fate i vostri>. Sono tornato a casa, contento di me, con due nuovi autografi.

Questa è Accademia.

Sic transit gloria mundi

 Livia - 13/05/2024 14:27:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

cit Pozzoni:
-Quindi, tu vai alla biblioteca universitaria di Nürnberg (esempio stupido), chiedi in tedesco un volume di Ivan Pozzoni, e te lo danno. Questa è la differenza tra un grande artista/studioso o un dilettante. Non ti convince: chissenefrega.-

Mi convince, lo so bene. Su Worldcat.org sono citate tutte le biblioteche straniere e di riguardo. Ti sembrerà "mostruoso" ma qualcosa di mio è pure lì. Non certo di poesia ma di storia.
Non sono di CL...figurati se...in un sistema politico e di decadenza dei valori credo di essere diventata anarchica. Questa società mi va stretta, vorrei vivere in un mondo diverso, perciò amo l’isolamento.

Alla fine siamo riusciti a dialogare un po’meglio io e te, ho capito alcune cose del tuo pensiero ed altre meno. Il sito non gratifica la contaminazione delle idee, mentre il vero sale è tentare di capire le differenze! :-)

Che la terra mi/ti sia lieve ma che la vita lo sia ancor di più !
Buona giornata


 Ivan Pozzoni - 13/05/2024 05:20:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,

non mi offendo sulla lesa maestà. Per un anarchico la maestà lesa è un dovere morale (Bresci docet). Bella battuta, sono un gran figo.

Tu scrivi: <Non dovrebbe, ma lo fa, quindi l’assunto è falso. Perché l’immoralità è deviante anche sulle competenze. E’ deviante e soprattutto nell’ambiente letterario dove si carica di talento chi ha le spalle coperte dal proprio “mentore”, simpatie e antipatie, gelosie e invidie sono troppo affini all’animo umano per non sfiorare l’intelletto dei “sommi accademici”. Non nutro simpatia per loro, perché ho notato che l’equidistanza illuminata non esiste. Senza fare qualunquismo, solo qualche raro spirito. Per cui non credo, in senso generale che esistano maestri con la M maiuscola. Rari casi>.

In Italia esistono ottocento docenti universitari di storiografia filosofica, storiografia della letteratura ed estetica/sociologia dell’arte (non conto filosofia e teoria del diritto, epistemologia, etica, sociologia e psicologia, che non entrano nella valutazione delle opere d’arte). Il mio elenco conteneva una cinquantina di nomi, e non ne inseriva un centinaio mancanti. Dunque 150 accademici/critici letterari coi controcazzi. Gli accademici che brigano sulle nomine, truccano i concorsi, innalzano i loro assistenti, fanno <politica>, non ci sono. Quindi non sono assolutamente interessati e non hanno il tempo di discriminare i grandi poeti e i <dilettanti>. Devono diventare "emeriti" o "rettori". Parte dell’Accademia, non briga, non trucca, non mentorizza e trascorre il suo tempo a studiare Baudelaire (ad exemplum, l’ordinario Francesco Piselli) e a distinguere i grandi artisti e i dilettanti.
Questa è l’Accademia. Lo scrivo con la A maiuscola, se noti. Questa Accademia, non l’accademia dell’idraulico o dell’elettricista, stabilirà i canoni di grandezza di un autore. Piaccia o meno. Infastidisca, o meno. Scazzi, o meno. Questa, attualmente, è la <pratica> letteraria. Se non hai almeno due/tre volumi conservati nella biblioteca universitaria di Oxford non ti riscopriranno mai tra centocinquant’anni. Piaccia o no. Il volume conservato alla biblioteca comunale di Valmadrera non ti darà nessun certificato di grandezza artistica. Primo: nessuno consulterà la biblioteca comunale di Valmadrera. Secondo: la biblioteca comunale di Valmadrera ha direttiva regionale di non accettare testi di <poesia> e <romanzo> (nemmeno in omaggio). Sono diventati troppi.

Quindi, da finti sociologi dell’arte, affermiamo una verità fastidiosa: i mille volumi di <poesia>, romanzo, romance, fantasy, horror, noir, thriller et similia non sono considerati in Accademia, non sono conservati dalle biblioteche universitarie, non sono conservati dalle biblioteche comunali. Dunque: finiscono al macero dopo sei mesi dalla stampa. Chi ha fatto editoria vent’anni, come me, ne è totalmente conscio: le EAP chiedono 4.000€, ti fanno fare tre finte Presentazioni con quindici "amici", stampano 1.000 copie del volume, ne vendono 30 e ne buttano al macero 970 (non forniscono mai, stranamente, i certificati delle copie vendute allo scrittore idiota); le non-EAP stampano 30 copie con le tipografie on demand e non garantiscono un minimo di distribuzione (al contrario di ciò che sostiene la mia acerrima amica/nemica Linda Random); col self publishing (Youcanprint e Amazon), moda Tardomoderna, stampi 100 copie e le vendi a amici e parenti. Quindi? Io ho introdotto, vent’anni fa, il concetto di casa editrice equo-solidale (socialista collettiva autogestita). Collettiva significa "colletta", cioè compartecipazione moderata ai costi dell’azienda. Ho organizzato una quindicina di queste case editrici, in tutt’Italia. Poi sono arrivati i coglioni fondamentalisti delle non-EAP e senza capire niente, con l’aiuto di un giornalista deficiente freelance del Corriere della sera online [io, in tutta sincerità, disprezzo la categoria del giornalista] hanno inserito le case editrici socialiste autogestite nell’elenco delle EAP e hanno sputtanato il mio lavoro di vent’anni. Questi dementi decerebrati, fanatici delle non-EAP, senza avere mai esaminato un business plan o un bilancio di un’azienda (casa editrice), al grido entusiastico del <facciamo i ricchioni col buco del culo degli altri>, mi causano un attacco di MGRE. Purtroppo esistono ancora, auto-trasportatisi dal 2010.

Quindi, tu vai alla biblioteca universitaria di Nürnberg (esempio stupido), chiedi in tedesco un volume di Ivan Pozzoni, e te lo danno. Questa è la differenza tra un grande artista/studioso o un dilettante. Non ti convince: chissenefrega.

Piccola parentesi sui <mentori>. Il mio mentore è stato Mario Quaranta, discepolo apprezzato da Ludovico Geymonat (non sai chi è? Non mi rompere i maroni, cortesemente. Parla con l’idraulico di perdite nel cesso). Ho tenuto l’esame di filosofia del diritto direttamente con Giulio Maria Chiodi (non con un assistente), 30 e lode, con segnalazione a Mario A. Cattaneo (titolare della cattedra i n aspettativa). Ho tenuto l’esame di Teoria Generale del diritto con un assistente timido e cortese, 30 e lode, che diventò titolare di una delle cattedre di filosofia del diritto e mi segnalò al decano Mario Jori (uomo meschino e grande studioso), discepolo diretto di Uberto Scarpelli. Quindi queste segnalazioni, con l’assegnazione di due cattedre universitarie? Sono un raccomandato o un grande studioso? Chi diavolo ha tirato fuori Mario Calderoni da un silenzio di quasi cent’anni? Chi ha contribuito a riscoprire Giovanni Vailati, morto solo e misconosciuto, in un sanatorio, nel 1909? Chi ha rispolverato il testo "Etica e Politica" di Benedetto Croce, dove il famoso filosofo italiano si distaccò, dopo mille ripensamenti, dal fascismo? Dunque i miei <mentori> avrebbero annichilito l’importanza dei miei studi di storiografia filosofica?

Secondo esempio: hai voglia di fare surf e ti rechi in California, fai un passaggio veloce all’University of California di Los Angeles e chiedi un volume di Ivan Pozzoni e te lo danno. Non ti sembra stranissimo? Per non fare troppo il figo non ti ho citato il trinomio Cambridge/Oxford/Princeton. Non vorrei essere accusato di lesa maestà.

Tu scrivi: <Un idraulico è competente se sa montare bene un lavandino, un accademico è competente se sa osservare attarverso le sue conoscenze scientifiche senza alcuna lente di giudizio. Purtroppo quasi tutti usano gli occhiali. Essere spiriti vergini in quell’ambiente è come trovare un ago nel pagliaio.
D’accordo invece su Sanguineti e D’Andrè. I 2 sommi lacciascarpe per me restano sommi con la S maiuscola. Se aggiungi Quasimodo come terzo incomodo come ti destreggerai sull’unico paio di piedi a noi poveri umani concesso? Che ruolo come lacchè?
Posso dirti ? A me nell’aldilà basterà solo sedermi vicino alla loro scrivania!>.

Gli occhiali sono riconosciuti come insostituibili, da Kant. Nessuno, sino ad ora. è riuscito a smentire Kant [non sto a spiegare la storia degli <occhiali> di Kant alle 04.17, crollo dal sonno e vomiterei la bottiglia di Porto che ho bevuto, insieme alla cena del Rodhouse, fattami arrivare a casa dopo la scoperta di Glovo].

Quasimòdo, non Quasìmodo. Cleòpatra, no Cleopàtra. Gli accenti, Kṛṣṇa! [volevo scrivere Cristo, ma tu sarai certamente catechista o di CL e mi denunceresti la bestemmia]. Montale, Quasimòdo, Ungaretti (come Pascoli e D’Annunzio) sono tremendi <poeti>. Non avranno nessuna scrivania, in nessun dove. Io mi diletterò a dialogare, alla pari, con Sanguineti, Brassens e De André. Ma non prendiamoci in giro: chiusa la bara, finiti i ricordi, condanna all’inesistenza. Il Paradiso, amministrato da Baget Bozzo, è roba da CL.

Tu scrivi: <“Perché siamo destinati a cadere al primo soffio di vento, e non uno e non tutti?” , ecco la domanda universale tradotta in poesia/metafora dal "sempliciotto" Montale, l’unica vera domanda a cui l’Uomo non sa dare una reale risposta, né filosofica, né teologica, né artistica. la domanda che per milioni di anni è insita nel dna umano>-

Perché, semplicemente, non siamo semidei greci [in termini filosofici, la <memoria>, Μνημοσύνη, è stata sostituita dalla vita ultraterrena della cultura cattolica medioevale]. Se lo chiedeva a me, spiegavo tutto bene io, anche se avrebbe compreso un quarto del discorso [Montale - si sa- non fu una grande mente filosofica]. Adesso hai la risposta ad una domanda da maestro elementare dell’Ottocento, formulata in termini settecenteschi. Non oso immaginare il resto della <poesia> del fenomeno... Io sono categoricamente convinto - da critico letterario- che se Montale fosse nato nel 1976 sarebbe stato rifiutato da qualsiasi casa editrice e avrebbe dovuto uscire con Youcanprint.

«Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito»

La risposta a Montale la diede un filosofo aramaico, dei tempi di Tiberio, di nome Yēšūa. Purtroppo alla storiografia antichistica non sono rimasti fonti dirette, solo le macro-falsificazioni del Concilio di Nicea. Ti lascio il compito di studiarlo a fondo.

Sit tibi terra levis

 Livia - 13/05/2024 01:06:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

caro Ivan meno male che non ti offendi per lesa maestà, per cui continuo il mio dialogo. Mi rallegra il fatto che non ti offendi per "lesa maestà"

cit. Pozzoni:
L’ <immoralità> non inficia le competenze scientifiche.

Non dovrebbe, ma lo fa, quindi l’assunto è falso. Perchè l’immoralità è deviante anche sulle competenze. E’ deviante e soprattutto nell’ambiente letterario dove si carica di talento chi ha le spalle coperte dal proprio “mentore”, simpatie e antipatie, gelosie e invidie sono troppo affini all’animo umano per non sfiorare l’intelletto dei “sommi accademici”.
Non nutro simpatia per loro, perché ho notato che l’equidistanza illuminata non esiste. Senza fare qualunquismo, solo qualche raro spirito. Per cui non credo, in senso generale che esistano maestri con la M maiuscola. Rari casi.
Un idraulico è competente se sa montare bene un lavandino, un accademico è competente se sa osservare attarverso le sue conoscenze scientifiche senza alcuna lente di giudizio. Purtroppo quasi tutti usano gli occhiali. Essere spiriti vergini in quell’ambiente è come trovare un ago nel pagliaio.
D’accordo invece su Sanguineti e D’Andrè. I 2 sommi lacciascarpe per me restano sommi con la S maiuscola. Se aggiungi Quasimodo come terzo incomodo come ti destreggerai sull’unico paio di piedi a noi poveri umani concesso? Che ruolo come lacchè?
Posso dirti ? A me nell’aldilà basterà solo sedermi vicino alla loro scrivania !

Montale e Ungaretti erano figli del proprio tempo e scrivevano con lo specchio della loro realtà, la poesia – soldati – non è solo una metafora della caducità della vita, è l’essenza della principale domanda dell’Uomo, non solo in filosofia, teologia, arte, ma anche nell’uomo che ti passa accanto sul marciapiede uscito da una sala giochi o dal trono della De Filippi, “Perché siamo destinati a cadere al primo soffio di vento, e non uno e non tutti?” , ecco la domanda universale tradotta in poesia/metafora dal "sempliciotto" Montale, l’unica vera domanda a cui l’Uomo non sa dare una reale risposta, nè filosofica, nè teologica, nè artistica. la domanda che per milioni di anni è insita nel dna umano.
Sul romanzo in generale. Ormai è stato scritto di tutto e di più, solo ogni tanto sbuca dall’angolo qualche out-sider e penso che questa specie di alieni sia presente se pure in minima parte persino su questi fumosi siti.

Sit tibi vita levis


 Ivan Pozzoni - 12/05/2024 14:29:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,
come ti scrivevo, Mario Quaranta diceva, ridendo: <Pozzoni annusa i movimenti di ogni facoltà filosofica italiana, studia i metodi, conosce i ricercatori e si infila ovunque>. I conoscevo ogni corrente, ogni movimento sotterraneo, ogni situazione intra moenia delle Facoltà di filosofia di tutt’Italia. E ho conosciuto tutti i docenti universitari e moltissimi ricercatori (che hanno "usato" bellamente i miei collettanei, iscritti isbn e in lista Miur, e sono diventati, con l’aumento dei punteggio, docenti associati e ordinari, sparendo improvvisamente, in amore di cultura). I maramaldi ci sono ovunque.

Tu scrivi: <sai benissimo anche tu che all’interno di tante accademie non mancano le ipocrisie, le alleanze, le ostruzioni e che la libertà intellettuale e di giudizio che invece dovrebbe aleggiare in quegli ambienti rimane solo una bella e vacua chimera. Ognuno porta avanti i suoi "pupilli" i quali diventano spesso famosi senza in realtà possedere il pari merito. Solo pochi accademici intellettuali hanno una illuminata equidistante lungimiranza, come solo pochi saranno i VERI universali talenti>.

Certo: questo accade all’interno degli Ordini, degli avvocati, dei medici, e dei domenicani. L’ <immoralità> non inficia le competenze scientifiche. Ho visto idraulici, carrozzieri, elettricisti, comportarsi nello stesso modo (di norma a botte). Fortunatamente non saranno idraulici e avvocati a discriminare ciò che è grande arte e ciò che è dilettantismo. Non saranno medici o elettricisti a conservare i volumi di valore e a mandare al macero i volumi, a migliaia, dei dilettanti allo sbaraglio. Saranno l’Accademia e le biblioteche universitarie. Come saranno i giuristi a discriminare le leggi buone dalle leggi cattive; e saranno i medici a discriminare tra le terapie nuove e le terapie cattive. Però i giuristi accademici e i medici accademici, non avvocati e medici di base, troppo coinvolti sul campo di battaglia.

Cioè uomini fuori dal comune: la "gente comune" è comune [con- e munus «carica, ufficio», propr. «che compie il medesimo ufficio»]. Non ti nego che la gente «che compie il medesimo ufficio», in democrazia, essendo la maggioranza, il 99,9%, ha, sfortunatamente, il suo <peso>. E, infatti, vediamo come è ridotta l’Italia. Con le nuove generazioni, incompetenti e ignoranti, interessate ad addominali, selfie, followers e influencer, avremo l’onore di diventare il Congo d’Europa.

Tu scrivi, bonariamente: <Ti auguro il meglio, permettimi uno scherzo bonario: pensare a Montale e Ungaretti che ti allacciano le stringhe nell’aldilà è abbastanza spassoso, si dovrebbe supporre per questi 2 miti letterari una dose di umiltà che sarebbe tanto eccezionale quanto la loro arte! Ma tu pensi che lo farebbero?>.

Dimentichi Quasimòdo. Sarebbero costretti, dopo avere letto i miei testi successivi al 2012. Ascolta, due che scrivono:

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

e

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie,

avranno il dovere di allacciare le stringhe anche a te.
Per fortuna arrivarono Sanguineti e De André, a spazzare via tutto con una risata.

Dominus vobiscum et cum spiritu tuo


 Livia - 12/05/2024 12:43:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

caro Ivan
sì, saranno gli accademici a riconoscere i benemeriti, ma siccome il genoma umano non fa eccezione pure per loro, sai benissimo anche tu che all’interno di tante accademie non mancano le ipocrisie, le alleanze, le ostruzioni e che la libertà intellettuale e di giudizio che invece dovrebbe aleggiare in quegli ambienti rimane solo una bella e vacua chimera. Ognuno porta avanti i suoi "pupilli" i quali diventano spesso famosi senza in realtà possedere il pari merito. Solo pochi accademici intellettuali hanno una illuminata equidistante lungimiranza, come solo pochi saranno i VERI universali talenti. Quindi come esiste nella gente comune l’incompetenza, l’ignavia e la superficialità allo stesso modo il mondo accademico è intriso degli stessi difetti (avere i guanti bianchi
dentro la stessa disonestà intellettuale non cambia la sostanza)
Ti fa certo onore l’impegno e lo studio, i titoli che hai conseguito per meriti di lavoro, non discuto assolutamente questo. Ti auguro il meglio, permettimi uno scherzo bonario: pensare a Montale e Ungaretti che ti allacciano le stringhe nell’aldilà è abbastanza spassoso, si dovrebbe supporre per questi 2 miti letterari una dose di umiltà che sarebbe tanto eccezionale quanto la loro arte! Ma tu pensi che lo farebbero? :-) Pax e buona domenica

 Ivan Pozzoni - 12/05/2024 07:15:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,

io non sono un accademico (causa svolte inattese della vita). Quando il mio docente universitario di ricevimento, dopo la tesi, mi chiese di diventare suo assistente, effettuare il dottorato e fare il concorso da ricercatore/docente associato, i miei genitori, un macellaio e una casalinga, non interessati assolutamente ("gente comune") alla realizzazione dei mie sogni e talenti culturali, diedero il non expedit. In Brianza non si studia troppo, la laurea è il massimo, si lavora. Mi sono trovato, uomo comune, a 23 anni a lavorare con "gente comune" - a 800€- in un ufficio di bollettazione a fare bolle di spedizione in una grande azienda della Grande distribuzione. Nel frattempo, di notte - come vedi mi sono abituato a dormire cinque ore al giorno- ho iniziato a costruire ciò che ti ho elencato (case editrici, riviste, movimento, manifesto, collaborazioni). A 23 anni ho notato il malfunzionamento del mio ufficio e l’ho riorganizzato, diventando responsabile dell’ufficio di bollettazione. Poi, essendo stato licenziato il responsabile logistico dell’azienda, mi misero, senza alcuna esperienza e preparazione (sono un giurista), a fare il responsabile logistico. Riorganizzato l’ufficio logistico, sono diventato direttore logistico di un magazzino di 40.000 mq e 150 dipendenti. Poi, col tempo (brevissimo), diventai direttore amministrativo, commerciale e generale della sede Nord-Italia dell’azienda. Infine, fui nominato amministratore delegato di Italia ed estero. Il mio carattere difficile mi condusse a litigare coi titolari e a trasferirmi come amministratore delegato in un’azienda metallurgica. Carattere duro e determinato, litigio e trasferimento, dopo avere organizzato un fusione tra multinazionali da 150.000.000€, in un’azienda farmaceutica coreana da 50.000 dipendenti. Esasperato dalla ferocia della vita d’azienda, son diventato direttore generale di una casa editrice italiana. Poi, con un colpo di testa, ho abbandonato il mondo aziendale, a 40 anni e mi sono messo a fare il consulente legale, in materia di diritto commerciale internazionale (maggior parte), diritto penale, psichiatria forense e medicina legale. L’80% degli studi italiani e esteri (est Europa, Medio oriente, Estremo Oriente) chiedono le mie consulenze. Attualmente, a 47 anni, ho deciso, contemporaneamente, di ottenere le abilitazioni a consulente legale ASL URP Lombardia, fare, finalmente, il concorso da docente associato, seguire la procedura di praticantato e diventare avvocato.
Ho lavorato vent’anni, fianco a fianco, con la "gente comune" e ho sperimentato estrema ignoranza, incompetenza, cattiveria, stupidità, assoluta mancanza di voglia di lavorare seriamente, tentativo di sfuggire alle proprie mansioni. Ho un vanto: avere licenziato, nella mia carriera, quasi 10.000 dipendenti incompetenti.

Quindi io non sono un accademico. Ho seguito le orme, senza alcun titolo, come mero cultore della materia, classico docente a contratto (peso universitario nullo), dei miei due maestri (Uberto Scarpelli, unico analitico italiano con metà delle cattedre della Statale di Milano di filosofia e teoria del diritto; Mario A. Cattaneo, storiografo della filosofia del diritto con l’altra metà delle cattedre). Improvvisamente - come naturale- scoppiò un conflitto sotterraneo tra analitici e storiografi, e io mi ci trovai in mezzo. Gli analitici vinsero, acquisirono tutte le cattedre universitarie: Milano divenne la roccaforte dei filosofi e teorici analitici del diritto (hanno un metodo anomalo di accostamento alla filosofia/teoria del diritto, come l’interpretazione filosofica delle sentenze della Corte di cassazione, della costituzione, le teoria dell’interpretazione e dell’argomentazione, lo studio del "linguaggio giuridico" e dell’attività dei giuristi). Gli storiografi furono esiliati a Padova. Io rimasi a Milano, assolutamente allergico alle metodologie di studio analitiche, e segui Cattaneo (che morì improvvisamente>) a Padova. A Padova conobbi il mio vero riferimento filosofico, il mio amato e compianto maestro Mario Quaranta, esperto di storiografia filosofica italiana dell’Otto/Novecento. Lì, con l’aiuto di Mario Quaranta, arrivò il mio colpo di <genio> che, col tempo, mi condusse ad essere uno dei maggiori studiosi italiani del nostro brevissimo secolo. Fomentai la fusione del metodo analitico e del metodo storiografico in un metodo storiografico dei filosofi analitici italiani dell’Otto/Novecento. Con questo metodo riscoprii Mario Calderoni e Giovanni Vailati, attirando l’attenzione del mondo accademico filosofico italiano. i miei studi su Benedetto croce mi consacrarono a importante studioso italiano. Mario Quaranta diceva, ridendo: <Pozzoni annusa i movimenti di ogni facoltà filosofica italiana, studia i metodi, conosce i ricercatoli e si infila ovunque>. Poi, insieme ad un minuscolo manipolo di ricercatori, introdussi in Italia la materia della Law and Literature (studio delle suggestioni etico/giuridiche in testi letterari). Ho curato 80 volumi collettanei (a mia opinione, il volume collettivo (collettaneo), con la riscoperta delle <voci> dimenticate della filosofia italiana è la massima forma di impegno sociale dell’intelle(a)ttuale tardomoderno). E cinque monografie. E così via...

Per la <poesia>, iniziai a 30 anni a scrivere <poesie> basate sull’emozione/illuminazione (io la definisco aha-erlebnis) -come dici tu- insieme a migliaia di scrittori <dilettanti> italiani. Mi notò Giuliano Ladolfi che tentò di costringermi ad adottare una gabbia metrica e ad entrare nel gruppo di Atelier. Io - come ho spiegato altrove- rifiutai ogni gabbia metrica, fui bandito da Atelier (medaglia al merito), e accettai un unico consiglio: studia, studia, studia. La grande <poesia> non è illuminazione/emozione, ha un forte fondamento teoretico. Io studiai i nuovi sociologi (Bauman, Sennett, Beck, Lipovesky e Gallino), divenni amico e corrispondente epistolare di un grandissimo sociologo, Zygmunt Bauman, che mi definì <geniale>, l’estetica francese di Derrida, Deleuze, Baudrillard e Debord. Grecista di natura, abbandonai l’ironia maieutica socratica e mi accostai all’ironia sovversiva/eversiva derridaiana. La mia <anti-poesia> - denotata come controcultura milanese, neo-avanguardia del nostro secolo, o meglio, baumaniamente NeoN-Avanguardia- si battè strenuamente contro il neo-romanticismo di Di Stefano Busà e De Signoribus, il trinariciutismo del gruppo di Atelier di Ladolfi, il minimalismo milanese di Magrelli, Zeichen e Marcoaldi, il <dilettantismo> delle migliaia di pseudo/scrittori italiani. nel 2012 fui notato dal maggior critico letterario Giorgio Linguaglossa, che iniziò a scrivere di me ovunque. Iniziarono collaborazioni, antologie, recensioni. Il mio interesse verso il collettivo mi spinse a creare case editrici socialiste e a curare 63 antologie collettanee (con <voci> di grandi poeti e <voci> di artisti esordienti, ho avuto l’onore/onere di selezionare tra quasi 10.000 scrittori italiani, salvandone 200/300). Curo una delle maggiori antologie di grandi poeti contemporanei, Tardomoderni, nel 2015 (https://www.ibs.it/tardomoderni-libro-vari/e/9788898496600). Alberto Bertoni, ordinario di storia della letteratura dell’Università di Bologna mi inserisce nell’elenco dei maggiori poeti italiani degli ultimi vent’anni. Marzio Pieri (ordinario di storia della Leteratura dell’Univeristò di Parma), Francesco Piselli (ordinario di storia della filosofia dell’Università di Parma) e Nazario Pardini (ordinario di storia della letteratura dell’Università di Pisa) si accodarono a Bertoni. L’elenco infinito dei nomi del thread antecedente mi consacra a grande poeta. Inizio a tenere reading nei locali e nelle università di tutt’Italia; inizio a tenere reading a Praga, Budapest, Bucarest, Tblisi, Mosca (davanti a 1.5000 appassionati russi), Lione e New York. Alterno una vita inappuntabile (amministratore delegato in giacca e cravatta di giorno) e una vita dissoluta (folle lettore di versi divini, dotato di un fascino immenso, di notte). Studio Jaspers e Bingswanger ed applico il concetto di <liminalità> alla mia <anti-poesia>, tramutandola in <anti-poesia> chorastika. Fondo un movimento, il Neon-Avanguardismo e stendo un manifesto d’avanguardia, l’Anti-manifesto Neon-Avanguardista. Dichiaro la morte di Ivan Pozzoni (il mio nome non ha nessuna importanza nella dimensione artistica della Generazione X) e creo l’I.v.a.n. Project. Poi nel 2018, causa motivi strettamente culturali, cesso categoricamente di scrivere, dopo il mio maggiore saggio di sociologia dell’arte, scritto in ungherese su una rivista ungherese, volto a dimostrare l’inutilità della scrittura moderna nel Tardo moderno. Il saggio è stato inaspettatamente tradotto sulla rivista Diwali: https://www.diwali-magazine.art/il-contributo-neon-avanguardista-alla-concretizzazione-di-unoriginale-anti-forma-poesia/.

Tutto finito. Il resto, lo conosci bene.

Quindi, scrivendo tu <l’atteggiamento di voi accademici> non devi riferirti a me, avanguardista, anarchico, collettivista. Però, riconosco una regola aurea: in questo mondo dominato dai <mestieranti> Saviano, Murgia, Baricco, caratterizzato dall’esistenza di migliaia di <dilettanti> disponibili a discutere su ogni cosa, dopo avere scritto tre romanzi fantasy (che io definisco <anti-letteratura>), ventenni e trentenni che mi ridono in faccia, non ascoltano la mia immensa esperienza (non ascoltano, nessuno), insultano. Ignoranti e decerebrati, scrivono come ragazzini delle scuole superiori, con errori di grammatica e ortografia, seguono la cultura del follower e apprezzano l’influencer. Generazione selfie, come definita da un mio collega di dipartimento, sociologo del diritto. La regola aurea è che saranno accademia e critica letteraria a distinguere i <dilettanti>, inutili e dannosi, dai grandi poeti. Le biblioteche universitarie saranno le strutture adatte a conservare, in vista del futuro, i grandi, condannando all’inesistenza i <dilettanti>.

Io sono un <militante>. Ho rifiutato contratti editoriali sui miei inediti di Mondadori, Feltrinelli ed Einaudi. Pubblicherò, sebbene in assenza di un <pubblico>, i miei inediti con una casa editrice autogestita socialista.

Il mercato del romanzo è andato a saturarsi nel 2015, a causa dell’immissione nel mercato di un infinito numero di <dilettanti> appoggiato da un infinito numero di case editrici senza alcun valore. Contemporaneamente - come è successo ad inizio secolo con la <poesia>- è andato a scomparire il <pubblico> del romanzo. Le biblioteche hanno iniziato a rifiutare l’acquisto di romanzi e le case editrici minori non hanno una reale distribuzione (in Italia, in mano a Mondadori e Feltrinelli). Quindi, attualmente, scrivere un romanzo non serve a niente: ti leggeranno in venti e tra sei mesi nessuno si ricorderà della sua esistenza.

Io non sono durato sei mesi. Durerò centinaia di anni. La mia concezione di <militanza> è brevissima:

<Aldilà dell’intento solidaristico e socialista di ogni iniziativa Limina mentis, ciascuna serie di volumi collettivi dedicati alla ricostruzione storiografica della cultura moderna, sottende un’originale metodologia, organizzativa ed ideologica, fondata sulla a] varietà delle «voci interpretative», sulla b] contestualizzazione esistenzialistica di ciascun soggetto / oggetto di studio (irripetibilità delle narrazioni culturali), sulla c] «rappresentazione polifonica» di due secoli anti-monodici come Ottocento e Novecento, sulla d] instaurazione di un dialegesthai tra «voci», vive e morte, nella consapevolezza che ogni racconto storico, oltre a derivare da momenti culturali determinati e unici, concorra a creare nuovi e originali orizzonti di ricerca e su una e] nuova concezione dinamica della nozione di «manuale» inteso come infinito work in progress di una comunità solidale di ricercatori (I. Pozzoni)>.

Io ho avuto l’onore di discutere coi morti. Quando sarò morto io continuerò a discutere coi vivi. Voi, sinceramente, non credo.

Penso di vere detto tutto.

Tanta gioia.








 Livia - 11/05/2024 22:29:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

caro Ivan, non metto in discussione la tua cultura nè il tuo sapere, metto in discussione questo - io - che ti contraddistingue, come fosse un metro di misura su gli altri. Più una misura di distanza che di com-passione. (questa è ironica!). Non intendo intavolare una discussione culturale, solo colloquiale. Sciorinare una pergamena di cognomi o la lista di studi e di cose che hai fatto fa parte del tuo vissuto (ti fa onore) e per l’ignoranza/ignavia che circola sono anche d’accordo.
E’ l’atteggiamento di voi accademici che trovo fuori dal dialogo cosiddetto "normale". Voi accademici dovreste scendere un po’ più nel circo massimo, abbandonare per un attimo il palmares e comprendere che fra la gente comune esistono talenti che non ambiscono necessariamente alla gloria o al successo e già mi pare una dote. Questo mondo è troppo banale, troppo pieno di lustrini e ipocrisia, di falsi miti, di falsi scrittori, di falsità confezionate ma ben vengano tutti nei loro "moti d’anima" o eccellenze scrittorie. Proprio tutti. Le baronie, al contrario, non hanno mai regalato nulla ai veri talenti, anzi tanti di loro che non facevano parte della elite sono stati osteggiati, incompresi e biasimati (e lo sono anche oggi), riconosciuti grandi dai posteri solo dopo la morte. Fra l’altro penso pure che buona parte degli accademici non siano in grado di svecchiarsi dai loro rigidi parametri e che le vere avanguardie, le piccole/grandi rivoluzioni artistiche rappresentino per una maggioranza di loro una spina nel fianco. Quando un monopolio viene minato tutta la comunità si unisce compatta. Ma quale visione avveniristica?
Ovviamente è un pensiero personale fondato sulle mie esperienze con questi ambienti, ti auguro una buona serata.

 Ivan Pozzoni - 11/05/2024 17:17:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Chiaramente intendevo iniziare con un Cara Livia. Mi si scusi il refuso. Nei momenti liberi dai miei molteplici lavori sto studiando al fine di vincere i concorsi di ricercatore, consulente legale ASL URP, finire il praticantato e fregiarmi del titolo inutile di avvocato. Saluti a tutti!

 Ivan Pozzoni - 11/05/2024 17:06:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Teresa,

Tu scrivi: <Beh, caro Ivan, affermare che Montale fra 150 ti allaccerà le stringhe delle scarpe non pecca un po’di presunzione? Certo, ammiro chi ha stima in se stesso, ritengo pure bello che ognuno difenda a spada tratta le proprie idee ma non riesco a comprendere come nel vostro ambiente (accademico) la dote intellettiva che risalta di più sia l’autoreferenzialismo>.

Non sono un cretino. Non sono io a sostenere questa tesi. Io inizio ad essere citato nei manuali universitari di storia della letteratura (un trafiletto, eh), nei volumi di critica letteraria e nelle moltissime recensioni su rivista internazionale (sopratutto nel mondo dell’Est Europa). Hanno scritto di me e della mia complessa attività artistica amici e collaboratori (nel senso che io ho antologizzato e ospitato loro nelle mie riviste, non viceversa): Villalta, Arminio, Anelli, Fontanella, Palladini, Kemeny, Saveriano (+), Bettarini, Pardini, Faraòn Meteosès (Amorese), Ruffilli, Attolico (magister humor), Panetta, Lagazzi, Ederle, Romano, Ferrari, Calamassi, Vaccaro, Pontiggia, Bolla, Neri (+), Soldini, Guarracino, Bertoni (che, nella sua iniziativa dell’Università di Bologna, mi ha classificato come uno dei maggiori poeti degli ultimi vent’anni), Papa Ruggiero, Onofrio, Almerighi, Balestriere, Pieri (+), Damiani, Rondoni, Lauretano, Ranieri, Ermini, Piselli (+), Fresa, Alvino, Alaimo, Pirrera (+), Apolloni (+), Zinna, Troisio (+) (magister flaneur), Linguaglossa, Spagnuolo, Ladolfi, Ariano, Di Stefano Busà, Mosconi, Nasr (+), Cipriano, Oddera, Spurio, Angiuli, Benassi, Bertola (+), Campo, Contiliano, Gattoni, Di Spigno, Ramberti, Adernò, Piazza, Truglia, Ferraris, Fiori, Di Spigno, Nove, Cavalli, Valduga, Saya, Sinicco, Argentino, Calandrone, Spaziani (+), Frene, Mancinelli, Quintavalle, Tuzet, Magrelli, Maffia, Buffoni, Cucchi, Pecora, Dal Bianco, De Angelis, De Palchi (+), Deidier, Lamarque, Recalcati, Manacorda (+), Pedullà, Pellegatta, Ramat, Valesio, Minore, Alborghetti, Zuccato e un altra cinquantina tra artisti, docenti universitari e critici letterari che i mie collaboratori movimentisti stanno ricercando nelle riviste di mezzo mondo (il loro fine è preparare la mia pagina Wikipedia).

Questi sono tutti cretini? Non credo.
Mi hanno affiancato, nel tempo, a Lucini, Esenin, Leatrémont, Persio, Orazio, Rimbaud, Anceschi, Eliot, Milosz, Majakovskij, Burchiello Berni, Teofilo Folengo, Pulci, Goldoni.

Il mio amico, maestro, e corrispondente Zygmunt Bauman mi definiva intellettuale <geniale>. Marzio Pieri, ordinario e critico letterario, amava scrivere <Pozzoni - come Guareschi- è in grado di fare qualsiasi cosa. Però la sua "anti-poesia" non sarà mai "poesia">.

Semplicemente - a differenza dei miei stimatissimi colleghi, sempre contenti delle mie ferocissime invettive contro loro e lo star system della <poesia> italiana- io me ne sono stato in disparte, a studiare, studiare, studiare. Niente Presentazioni. Niente Premi. Niente interviste. Niente presenze ovunque. Quindi, attualmente, non mi conosce nessuno, al di fuori degli addetti ai lavori. Studio, studio, studio. L’<autoreferenzialismo>, che credo sia <autoreferenzialità> (non credo tu ti volessi riferire all’autoriferimento della teoria dei sistemi) significa <tendenza a parlare ed agire riferendosi solo alla propria persona>. Io difficilmente discuto di me stesso. Lo lascio fare agli altri. Leggendo l’elenco, rilancio: tra centocinquant’anni Ungaretti e Montale mi allacceranno le stringhe delle scarpe.

Tu dici: <Un conto è esporre, contaminare, contagiare l’animo altrui con la validità/vitalità delle proprie idee; non servono nemmeno tante citazioni a convalidare una tesi, penso che queste sostanzialmente vadano ad ammorbare lo spessore del proprio punto di vista>.

Guarda, io sono morto nel 2016, ed è nato l’I.v.a.n. Project. Nel 2018 mi sono ritirato definitivamente dal mondo della scrittura. Quindi non espongo, contamino, contagio niente.

Sono uno dei massimi consulenti legali italiani in materia di diritto commerciale internazionale dell’Est Europeo, del Medio Oriente e dell’Estremo Oriente. Stendo contratti di compravendita e fusione di multinazionali straniere in russo, ucraino, ceco, bulgaro, slovacco, rumeno, moldavo (rumeno), georgiano, azero, uzbeko, cinese, coreano, giapponese e arabo e organizzo materialmente le fusioni. Ci riesci, tu?

Sono stato vent’anni amministratore delegato di tre multinazionali della Grande distribuzione e della farmaceutica. Gestivo fino a 50.000 dipendenti, organizzavo l’azienda, rispondevo a 1500 email al giorno e dialogavo, in lingue diverse, contemporaneamente. Costruivo magazzini di 80.000 mq. Ci riesci, tu?

Registravo, certificavo, stendevo e organizzavo brevetti farmaceutici in coreano, e, nel frattempo, facevo organizzavo il corretto funzionamento dell’azienda. Ci riesci tu?

Ho evitato ad un innocente vent’anni di carcere a causa di un’accusa assolutamente ingiusta accettata da un PM ignorante e da magistrati corrotti e menefreghisti. Ci riesci, tu?

Sono stato segretario regionale di uno dei maggiori partiti della maggioranza, tenendo a bada complotti, ricevendo minacce di morte dalla ’ndrangheta, ricevendo ostruzionismo e rotture di coglioni infinite dai miei colleghi di partito. Sono riuscito ad ottenere il record dei voti, nella mia Regione, al mio partito, e sono stato defenestrato da un colpo di mano di una corrente avversa. Ci riesci, tu?

Ho mantenuto le due cattedre universitarie dei miei maestri, filosofia e teoria del diritto, senza titoli, come mero cultore della materia (mi si scusi di non avere avuto il tempo di fare il concorso da ricercatore: mi è toccato lavorare), organizzando seminari e lezioni, introducendo, uno dei primi in Italia, la materia della Law and Literature, di cui sono massimo esperto. La rivista italiana di Studi (Cattolica di Milano) mi ha quasi implorato di stendere un saggio e di organizzare un seminario sul rapporto Tommaso / Guareschi. Ci riesci, tu?

Leggo Iliade/Odissea, lirici ellenici antichi, tutta la dossografia sui Presocratici, in lingua, e traducendo ad occhio. Ho scritto I. POZZONI, Suggestioni etico/giuridiche nei lirici greci arcaici, in “Información Filosófica”, Roma, fasc.19 (2012), IX, 7-36 e altri 1.000 saggi e 150 volumi. Ci riesci tu?

Ho fondato un centro sociale autogestito. Mi sono battuto, nel famigerato dibattito editori EAP / non EAP impostando il concetto di casa editrice collettiva socialista autogestita. Ho organizzato, diretto, e gestito tre case editrici socialiste autogestite. Ho fondato e diretto tre riviste letterarie o filosofiche. Ho fondato un movimento letterario. Ho steso un Anti-Manifesto Neon-Avanguardista, firmato da centinaia di intellettuali (incluso Umberto Eco). Ci riesci, tu?

Ho vissuto cento vite di un uomo comune. Sono, categoricamente, un uomo fuori dalla norma, un uomo di <genio>. Il mio QI è 156. Come diceva Marzio Pieri, mettetemi in mano uno stetoscopio e vi apro uno studio medico. Dopo questa, mi sento di dire che tra centocinquant’anni Ungaretti, Montale e Quasimòdo (non Quasìmodo, non è il Gobbo di notredame, Quasimòdo) mi allacceranno le stringhe delle scarpe. L’unica cosa che mi "spiaze" è che io tra centocinquant’anni ci sarò ancora, voi no.

Le citazioni non convalidano niente. Sono semplicemente indicazioni di studio. Se non conosci chi sono Kelsen, Olivecrona e Ross, non imbastire con me un discorso culturale. Io sono in grado di discutere con un medico di sindrome di Raynaud, test di Nugent, epididimite. Sono in grado di discutere con un sociologo di <connessione/disconnessione>, chorasticità, tardomodernità. Sono in grado di discutere con uno psicologo di bias cognitivi, liminalità, analisi/auto-analisi. Sono in grado di discutere con uno psichiatra di DSM-V, dendrofilia, delirio erotomanico. Sono in grado di discutere serenamente con un astronomo, con un fisico, con un chimico. Inizialmente credono che sia un loro collega. Poi scatta lo spiazzamento. E, infine, la stima e l’amicizia. Non sono in gradi di discutere con un matematico o un geometra. Le due materie mi hanno sempre fatto cagare, sin dall’adolescenza.

Tu scrivi <La gente comune - è quel tessuto umano imperfetto con cui spesso non ci si trova nel confronto, ma è il "materiale" essenziale per le vostre riflessioni filosofiche, come ci si può esimere dal toccare con mano "la materia prima" con cui plasmate le vostre teorie?>

La "gente comune" è la disgrazia che ha come riferimenti Signorini, De Filippi e Cannavacciuolo. Legge Fedez (100.000 copie) e disdegna Damiani. Cosa ho in comune, con la "gente comune". Io fortunatamente non sono uno psicologo sociale, costretto a formulare teorie delle masse. Io sono un filosofo del diritto, un teorico del diritto, un epistemologo, un sociologo dell’arte, un filosofo etico/teologico: sinceramente, con la rivoluzione analitica del secolo scorso e la rivoluzione sociologica di questo nuovo secolo ho eliminato ogni riferimento al "linguaggio comune", "linguaggio ordinario" e "gente comune". Sono mortissimi i tempi di Lèvinas (l’essere dell’io che crea l’essenza del noi in un essenza comune noi io che crea un essere....) e di Sartre. La filosofia tardomoderna studia i "linguaggi scientifici", le metodologie degli scienziati e dei filosofi, le teorie della <complessità>. L’"uomo comune" ha smesso, finalmente, di essere materiale di studio di storiografi filosofici, storiografi letterari, filosofi e teorici del diritto, epistemologi, estetici, etici, teologi.

Quando l’"uomo comune" inizierà a studiare, studiare, studiare, avrà l’opportunità di ricucire lo strappo tra italiano medio e Accademia.

Tanta gioia!






 Ivan Pozzoni - 11/05/2024 05:32:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Teresa,
Come scrivevo a Livia: <Per questo non partecipo alle discussioni sul sito. Tendenzialmente non mi interessa discutere - come dici tu- con la "gente comune">. Perché essendo un sovversivo/eversivo in <anti-poesia>, ho un carattere aggressivo, duro e determinato nella vita. Probabilmente è causa della mia dimensione di giurista. Per vincere le cause bisogna battere duro e non dare troppo spazio all’arroganza dei magistrati: forse è lì che ho sviluppato una forma di anti-arroganza, che viene scambiata dalla "gente comune" come arroganza. Semplicemente la "gente comune", d’ignoranza spaventosa, tende a non capire, non ascoltare, e rompere i coglioni. Io reagisco come un T-55 sovietico: non ho la vocazione di un Gandhi. Dopo tre domande formulate con estrema ignoranza, e con l’arroganza di essere calcolati, l’ARROGANZA della £gente comune".

Scrivi: <Premetto che, come è noto, non c’è affermazione che non possa essere confutata>. Popper è morto nel 1994, la nuova epistemologia si è fatta la domanda: <non c’è affermazione che non possa essere confutata> è un’affermazione. Quindi, confutabile. Per avere degli aggiornamenti sul loop epistemologico le consiglio la lettura di Teorie della conoscenza. Il dibattito contemporaneo, Cortina, 2015. Purtroppo non è aggiornatissimo: stiamo studiando - da epistemologi- soluzioni alternative. La cosa è diventata complessissima perché nel discorso è rientrata la teoria dell’argomentazione (dobbiamo fare i conti con Habermas e Apel, e con le nuovissime teorie analitiche dell’argomentazione, che mi sono dovuto smazzare organizzando un seminario in Università) e l’etica, con la legge di Hume, l’is–ought question, la Grande divisione, la critica della fallacia naturalistica, la distinzione tra cognitivismi e non cognitivismi etici (io, avendo organizzato seminari su Kelsen, Ross e Searle sono stato costretto a leggere il volume del collega Bruno Celano, Dialettica della giustificazione pratica. Saggio sulla legge di Hume, 1994, un libricino di 2.000 pagine che sviscera in maniera quasi ossessiva questi argomenti in ogni formato).

Tu scrivi: <Mi permetto di affermare che, a mio modesto avviso, i maestri sono tanto più grandi quanto più riescono a rivolgersi alla “gente comune”, sono appunto quelli che ammaestrano il popolo e sappiamo tutti chi sono i nostri modelli per eccellenza>.

Probabilmente ai temi di Marx. L’unico che ci ha tentato, in Italia, è stato Gramsci. La sua teoria dell’intellettuale "organico" è stata totalmente confutata. Poi, finalmente, sono arrivati Derrida, Deleuze, Debord, Baudrillard che ci hanno spiegato come l’intellettuale non sia assolutamente in grado di <guidare> la "gente comune", che acquista 100.000 copie dei libri di Fedez e 800 copie dei libri di Galimberti. Nel locus Vosyem del mio Anti-manifesto NeoN-Avanguardista lo spiego:

8] Vosyem: L’ironia è medium di rimorfologizzazione costante [L’ironia, come mezzo di ribaltamento, di rimorfologizzazione costante (dall’asino all’uomo e dall’uomo all’asino in asino umanitario), assume ruolo centrale nella dis-educazione del «giovane», sfuriando da una fase destruens in cui svuoti e/o abbatta ogni struttura di senso, e arrivando a costruire sensi sempre nuovi e rivivificanti].

Al massimo il compito dell’intellettuale e di <diseducare> le masse. Il compito di educare le masse, attualmente, tocca agli influencers e a Alfonso Signorini/Maria De Filippi. L’intellettuale ha il compito di <studiare>, fare ricerca, trasmettere e certificare il <sapere>. Ciò che no è certificato a livello accademico o di critica letteraria, semplicemente non sarà trasmesso nel futuro, non sarà certificato come <sapere>, non esiste.

La "gente comune", invece di desiderare d’essere guidata da qualcuno, studi.

Tu scrivi: <Per restare nell’ambito considerato, il fatto che a partire dal Decadentismo gli intellettuali abbiano smesso di fare da guida alla gente comune non è stato un bene. La sua convinzione sembra essere quella di non potere che toccare le stelle (tanto per citare Orazio) con la gloria della sua performante poesia di qualità, anche magari post mortem come lei provocatoriamente afferma, ma, vede, la vita a volte è davvero strana. A volte mille approfonditi studi, mille trofei, mille titoli non sortiscono l’effetto di assicurare il risultato atteso ed è sorprendente constatare come, più semplici intuizioni, derivate per esempio dalla libertà dell’immaginario, vadano a informare versi, che lei magari giudicherebbe concepiti “a cavolo”, i quali risultano invece pura illuminazione e, non sempre, per l’ignoranza degli utenti>.

Semplicemente ne riparleremo tra centocinquant’anni. Io sono serenamente convinto che tra centocinquant’anni i miei studi saranno ricordati e mantenuti dall’Accademia (a meno che crollino, improvvisamente, tutte le biblioteche universitarie italiane, le biblioteche universitarie di Oxford, Cambridge, Princeton, New York, Sorbonne, Berlino e un altro centinaio in tutto il mondo dove un individuo è in grado di richiedere e ricevere i miei volumi); i volumi, self, dei <dilettanti>, hanno durata, secondo studi editoriali, di sei mesi massimo. Poi vanno al macero, insieme alla loro interessantissima aha-erlebnis (illuminazione).

Tu dici: <Mi sono compiaciuta, infatti, che Montale, poeta che fin dall’esordio ha evidenziato la sua superiorità espressiva, abbia rivelato pubblicamente la sua difficoltà a trovare, a volte, forma e parole>.

Montale non vale De Palchi. Già di Montale, adesso, si discute quasi 0 in Accademia e critica. Tra cinquant’anni nessuno saprà chi è stato Montale.

Per tutto il resto ho una conclusione definitiva: tra l’arroganza dell’ignorante e l’arrogance dell’intellettuale favorisco l’arrogance dell’intellettuale, forma di difesa contro l’arroganza dell’ignorante. L’intellettuale scoprirà la terapia della polineuropatia anti-Mag, formulerà la teoria del Big bang, farà assolvere l’innocente da vent’anni di carcere ingiustamente irrogati, risolverà il dilemma della legge di Hume, scriverà versi immortali. La "gente comune" voterà, disgraziatamente, in maggioranza, e renderà l’Italia il Congo d’Europa.

Tanta gioia!

 Livia - 10/05/2024 21:46:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

cit.Ivan Pozzoni:
"Cara Livia, Per questo non partecipo alle discussioni sul sito. Tendenzialmente non mi interessa discutere - come dici tu- con la "gente comune". Io non sono comune: sono categoricamente convinto che tra centocinquant’anni, Montale mi allaccerà le stringhe delle scarpe"

Beh, caro Ivan, affermare che Montale fra 150 ti allaccerà le stringhe delle scarpe non pecca un po’di presunzione? Certo, ammiro chi ha stima in se stesso, ritengo pure bello che ognuno difenda a spada tratta le proprie idee ma non riesco a comprendere come nel vostro ambiente (accademico) la dote intellettiva che risalta di più sia l’autoreferenzialismo. Un conto è esporre, contaminare, contagiare l’animo altrui con la validità/vitalità delle proprie idee; non servono nemmeno tante citazioni a convalidare una tesi, penso che queste sostanzialmente vadano ad ammorbare lo spessore del proprio punto di vista.
- La gente comune - è quel tessuto umano imperfetto con cui spesso non ci si trova nel confronto, ma è il "materiale" essenziale per le vostre riflessioni filosofiche, come ci si può esimere dal toccare con mano "la materia prima" con cui plasmate le vostre teorie?
Comunicazione è anche contaminazione.


 Teresa Cassani - 10/05/2024 15:02:00 [ leggi altri commenti di Teresa Cassani » ]

Mi ero ripromessa di non scriverle, ma le sue risposte innescano inevitabilmente delle considerazioni. Premetto che, come è noto, non c’è affermazione che non possa essere confutata.
Lei, dopo aver espresso la viva intenzione di tenersi alla larga dalla “gente comune”, non so se ciò vada inteso come aristocratico disprezzo, cita personalità importanti, tra le quali il suo Maestro, con cui ha avuto l’onore e il merito di parlare alla pari, ricavandone infine il proponimento di diventare lei stesso Maestro.
Mi permetto di affermare che, a mio modesto avviso, i maestri sono tanto più grandi quanto più riescono a rivolgersi alla “gente comune”, sono appunto quelli che ammaestrano il popolo e sappiamo tutti chi sono i nostri modelli per eccellenza. Per restare nell’ambito considerato, il fatto che a partire dal Decadentismo gli intellettuali abbiano smesso di fare da guida alla gente comune non è stato un bene.
La sua convinzione sembra essere quella di non potere che toccare le stelle (tanto per citare Orazio) con la gloria della sua performante poesia di qualità, anche magari post mortem come lei provocatoriamente afferma, ma, vede, la vita a volte è davvero strana. A volte mille approfonditi studi, mille trofei, mille titoli non sortiscono l’effetto di assicurare il risultato atteso ed è sorprendente constatare come, più semplici intuizioni, derivate per esempio dalla libertà dell’immaginario, vadano a informare versi, che lei magari giudicherebbe concepiti “a cavolo”, i quali risultano invece pura illuminazione e, non sempre, per l’ignoranza degli utenti.
Anche se il riferimento alla lettura di esperti critici smorza il tono della sua lezione, la virtù dell’umiltà sembra esulare dalle sue categorie. Devo dire che io, per formazione e vocazione, apprezzo molto chi vi si abbevera. Mi sono compiaciuta, infatti, che Montale, poeta che fin dall’esordio ha evidenziato la sua superiorità espressiva, abbia rivelato pubblicamente la sua difficoltà a trovare, a volte, forma e parole.
Infine, comprendo che lei senta l’esigenza di consegnare alla tarda modernità la forza dirompente di quella che considera la sua annunciazione, anche evidenziando lo spessore agonico della sua testimonianza, ma vorrei osservare che le ragioni della poesia non prescindono dalle ragioni della vita, (della vita di ogni singolo), e anche dalle ragioni della speranza.

 Ivan Pozzoni - 10/05/2024 02:23:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,
Per questo non partecipo alle discussioni sul sito. Tendenzialmente non mi interessa discutere - come dici tu- con la "gente comune". Io non sono comune: sono categoricamente convinto che tra centocinquant’anni, Montale mi allaccerà le stringhe delle scarpe. Per ciò che ho fatto, nella mia giovinezza (fino a quarant’anni vale la definizione di <giovinezza>?). Ho fatto cose che un essere umano normale riuscirebbe a fare in dieci vite. Ho avuto l’onore e il merito di incontrare e dialogare con uomini, fuori dal comune, come Karol Wojtyla, Carlo Maria Martini, Zygmunt Bauman, Michel Onfray, Frere Roger, Mario Quaranta (il mio amato, defunto, maestro). Sono stati incontri alla pari. I miei maestri sono tutti morti, hanno l’Alzheimer, ho hanno ottant’anni. Probabilmente toccava a me, adesso, essere maestro; la tragicità della vita mi ha condotto - da giurista- ad essere uno dei massimi consulenti legali in materia di diritto commerciale internazionale d’Italia. Il mio ruolo accademico si regge soltanto sul fondamento del <cultore della materia>, accademico a contratto, come moltissimi artisti della mia Generazione X, Generazione Fantasma. Freelance, a contratto, condizionati, disponibili in qualsiasi momento al calcio nel sedere. Per questo, io, dal 2018, ho smesso di PUBBLICARE. Mi sono dedicato alla mia reale attività di giurista e attento che trascorrano i miei centocinquant’anni.

In tutta sincerità, ho fatto visualizzare la mia risposta alla tua domanda a due addetti ai lavori molto importanti. La risposta è stata: <geniale>. Il 100% dei membri di questo sito non avrebbe capito niente. D’altronde la realtà è molto complessa, più complessa di quanto si viva.

Devo essere sincero: da studioso accademico di Charles Bukowski (forse l’unico, dato che io amo dare dignità accademica alle <voci> ignorate dell’accademia), non disdegno assolutamente l’Alda. Comprendo che, nello stesso modo, Hank e Alda, siano due grandi <poeti>: meno eccezionali dell’apprezzamento che hanno avuto dalla gente comune. Hanno, consciamente o meno, costruito un <personaggio>, che ha colpito la gente comune. Hanno scritto testi: 90% tremendi; 7% intriganti; 3% importanti. Manca totalmente ogni consapevolezza culturale. Emilio Villa, altrettanto folle, fu un genio, latore di una cultura immensa. L’hai mai sentito nominare?

L’<emotività>. Nel secolo scorso, due filosofi analitici americani capirono che l’estetica è etica e fondarono l’emotivismo etico (Ayer e Stevenson). L’etica è una materia molto complessa. Per avere una visione completa, dovresti studiare cent’anni. Di norma, chi dice di scrivere al fine d’estrarre la propria emotività, di solito scrive a cazzo, senza avere la minima cognizione culturale. Questa anti-letteratura (pseudo-letteratura o para-letteratura) a chi interessa: a nessuno (al di fuori di amici e parenti).

Baricco: livello di Saviano, Murgia e Fedez. Tra vent’anni non sarà ricordato da nessuno. Capisco che esiste la "gente comune" e che, in Italia, decide, in democrazia, la maggioranza della "gente comune". Sinceramente, si vede: siamo il Congo d’Europa! Io sono fuori dal comune e la "gente comune" non mi attira. Ti ho spiegato come mai inserisco i miei testi nel sito, Maggiani ne è conscio, e mi ha lasciato cannibalizzare il sito in situazione di emergenza. Finito il mio lavoro, ho smesso di cannibalizzare il sito.

Grazie dell’attenzione. Ci risentiamo tra centocinquant’anni e vedremo se tutta la mia attività è stata un bluff.

 Livia - 09/05/2024 13:39:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

Ammetto tutta la mia ignoranza. E’ un commento per gli "addetti ai lavori", non son nemmeno in grado di sostenere un confronto.
Solo una cosa, vorrei dire, che (almeno per me) la poesia deve essere emozione, sradicamento emotivo nel senso più limpido del termine.
Per la ragione tendo a leggere altro, saggi, articoli, riviste del caso.
C’entra poco la tecnica, che pur riconosco nella sua utilità, ma come avrai ben desunto appartengo al basso "volgo", per esempio adoro le poesie della Merini, le letture di Baricco, stando sul contemporaneo, proprio perchè di tecnica non c’è nulla.
Una buona giornata, grazie per la risposta.

 Ivan Pozzoni - 09/05/2024 03:23:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

Cara Livia,
<celebrità> è l’affluenza del cittadino romano nei comitia e nei concilia [dal lat. celebrĭtas -atis, propr. «affluenza di molte persone»]. Questa affluenza è il simbolo dell’impegno sociale: il celeber, nel francese [sign. concr. dal fr. célebrité], cioè nel moderno, si trasforma dall’<affluenza> a chi cagiona l’<affluenza>.
L’<io>, nella tardo-modernità - come dicevo a Lilith in materia di <inconscio>- è un concetto ambiguo, come amiamo dire noi teorici del diritto, che dicendo tutto, finisce col non comunicarci niente. Se ragioniamo, in base a bias cognitivi, come se abitassimo ancora il moderno, diremmo che la celebrità è fonte di egopatia, e viceversa. Caduto, col tardomoderno, il concetto di <io>, "rischiamo d’essere costretti a recuperare il significato etimologico del termine: <celebrità> - e non <libertà>- è <partecipazione>.

Per il talento mi trovi d’accordo. Con la mia solita, anti-empatica, arrogance asserisco che noi, grandi artisti e filosofi di genio, siamo rimasti, forse, lo 0,1% della popolazione italiana. Semplicemente perché chi è fuori dal mondo dell’accademia e della critica letteraria, le Corti di Cassazione della Letteratura, non esiste e non ha talento [dal gr. tàlanton, che significava piatto della bilancia]. Non è il <piatto della bilancia> chi non è riconosciuto nei manuali universitari o di critica letteraria o dalle recensioni nelle riviste internazionali d’arte e letteratura.

Questa è la mia unica <anti-poesia>, o finto frammento ametrico (in quanto unico frammento metrico), da me scritto forse nel 2005, forse nel 2010. Perché? Molti anni fa, l’amico e direttore di "TV Sorrisi e canzoni" e della rinomata rivista letteraria "Atelier", Giuliano Ladolfi, si mise in testa, come condizione di essere incluso nella rivista "Atelier" di obbligarmi a confrontarmi con la c.d. gabbia metrica, credendo forse, che un classicista come me, non avesse chiaro il significato dell’anapesto, del trimetro giambico o dello scazonte, e utilizzasse il verso libero da ignorante. Per entrare a far parte del mondo di "Atelier", la "Vanity Fair" della letteratura, dovevo dimostrare di saper scrivere in endecasillabo, settenario o ottonario. Chiaramente io, che sono sovversivo/eversivo dai miei quindici anni, scrissi Ásino chi lègge!, un testo mischiato tra endecasillabi, settenari e ottonari, marcati dall’accento, con i vocaboli spostati dalla sede originaria in base alla necessità di rispettare il metro, con la simpaticissima volontà di mostrare che, chi, nel nostro secolo, scriva ancora in ottonari, sia costretto a formulare composizioni assolutamente avulse dal linguaggio comune al fine di rispettare rigorosamente la metrica (insomma, <poesie> scritte col metodo del frammento heideggeriano, cioè messe a caso). Perculavo, insomma: ad esempio l’inutile "even if", del v.6; la dislocazione letterale "camminàr, è, su stràde"; l’ironia beffarda "- còn due dìta,
nell’Hànon, nòn si eccèlle!-" (col riferimento, turpiloquizzato, alla tecnica musicale Hanon delle cinque dita); "Pèr essère poèti celèbri, cì occòrre morìr poèti?" (la chiusa: l’unico modo di mantenere il nostro impegno sociale, e di morire come artisti?). Il mio intento ironico era dimostrare a Giuliano che nel nuovo millennio all’impegno sociale della <anti-poesia> occorreva ritornare a verso libero e linguaggio comune e liberarsi dell’endecasillabo e del linguaggio ermetico (causato dalla necessità di rispettare una gabbia metrica). Chiaramente Ladolfi, affatto ingenuo, si incazzò molto di questo mio testo e mi escluse a vita da "Atelier" ("Atelier è categoricamente l’unica rivista italiana a non avere mai ospitato miei testi). Io, chiaramente, con le mie due riviste neo-avanguardiste, L’Arrivista e Il Guastatore, vicine a utilizzo del verso libero e del linguaggio comune, alla sostituzione della <semantica> del testo con la <pragmatica del contesto>, iniziai una battaglia feroce contro l’"atelierismo", una sorta di trinariciutismo <poetico>, e contro la rivista "Atelier", da me soprannominata carta d’apparati, visto il democristianesimo dilagante che caratterizzava la rivista e i suoi giovani, ermetici, eraclitei, autori. Poi, dopo la mia fortunosa scoperta, nel 2012, da parte del critico letterario Giorgio Linguaglossa, le mie riviste iniziarono ad ospitare grandi artisti e "Atelier" continuò, e continua, a ospitare carte d’apparati. Questa è la storia di Ásino chi lègge!. Paradossalmente, questo testo, a una lettura disattenta, è assolutamente un testo insignificante. Apparentemente: c’è tutto Derrida, con la sua teoria della sovversione/eversione ironica, c’è lo sberleffo neo-avanguardista verso l’utilizzo, dopo il Novecento, della gabbia metrica, l’accusa di atelierismo verso una rivista che è carta d’apparati, sovvenzionata in maniere non sempre chiare e in grado di vincere tutti i Premi letterari italiani (come casa editrice democristiana), il riconoscimento dell’insensatezza di continuare a nascondere l’impegno sociale dietro l’ermetismo letterario.

"Pèr essère poèti celèbri, cì occòrre morìr poèti?". Per coltivare una <anti-poesia> dall’impegno sociale, cioè richiamare l’affluenza ai comitia, bisogna morire come <poeti> di Atelier?

 Livia - 08/05/2024 13:15:00 [ leggi altri commenti di Livia » ]

ma cos’è alla fine la celebrità? siamo sicuri che non sia solo la banale affermazione del nostro ego sul resto del mondo? Io credo che il vero talento sia rarissimo, tanto più nell’arte e la luce che viene dal diamante grezzo sia davvero affar di pochi.
Posso chiederti come mai tutti questi accenti in poesia? A me personalmente non piacciono tanto, credo che "trascinino" troppo lo sguardo senza disporlo subito ad accogliere la limpidezza delle parole in se stesse.